Com'è diventata brutta Urbino!

5' di lettura 29/04/2022 - Alcuni Camper hanno passato la notte di Pasqua parcheggiati sotto i Torricini, lungo le mura. Siamo arrivati a questo. Il Sindaco, con una disposizione deplorevole e contraria, aveva pensato bene di spegnere le telecamere per aprire la Città al traffico durante la settimana Santa, aggiungendone altro a quello formicolante ed insensato solito.

Difficile capirne le ragioni. Forse si è trovato spinto da un cedimento mistico. Oppure ha ritenuto di favorire l’accesso in Chiesa, rimodellando questa nella forma di un Drive-in. Sta di fatto che alcune famiglie dentro quelle scatole bianche gommate hanno pensato bene di mangiare, dormire, defecare nel cuore intimo dell’illustre tinello di casa nostra. Succede ormai anche questo in Urbino.

Ora, per non caricare di eccessive colpe i Camperisti, conviene ricordare che già da tempo il Sindaco aveva deciso di estinguere la dinastia della Polizia Locale. Così da rendere Urbino terra di nessuno. Conviene anche ricordare che quando la Città era più civile e sobria, gli allora Vigili Urbani arrivarono ad essere 24. Così da garantire un presidio continuo e pressoché totale in ogni quartiere. Oggi che la Città è molto più complicata ne sono rimasti 12. Parte dei quali staziona negli uffici, mentre i restanti sono commissionati a prestare servizio nelle frazioni. Con l’esito di lasciare la Città pressata da una continua subordinazione alla trasgressione. Facendone oggi il suo definitivo carattere distintivo. Il suo petto gonfio, imperioso ed insolente.

Eppure era bella Urbino un tempo. Si poteva passeggiare con un amico appena incontrato. Fermarsi in spazi aggraziati. Ammirare le architetture non ancora contaminate e ben collocate nei luoghi corrispondenti ad esigenze estetiche. Si poteva svoltare a destra o a sinistra e sentirsi comunque coinvolti in un’aura da Rinascimento. I vicoli parevano incessanti. Cantucci d’ombra e lunghi corridoi di serene solitudini. La forma della Città era tutta uno spazio necessario ad una vita di relazione. Tenui ed indecifrabili silenzi dedicavano alle notti gradevoli veglie. Notti superbe. Che convergevano in mattini presto di prime voci invisibili ed anziane. Da udire più che ascoltare. Tutto era coerente in una disciplina d’ordine. Nulla era insensato.

Poi arrivò la barbarie. I deplorevoli tumulti. L’intollerabile presente. Ci venne detto che bisognava “cambiare”. Lo affermò un Sindaco che in un sottogenere di fumetto avrebbe dovuto apparire come l’improbabile Rambo di noialtri. Pittoresco e ridicolo. Abituato ad agire da solo, con l’atteggiamento tipico di chi è incompetente ma crede di essere superiore a tutti. Sovrastimandosi, per un bisogno compulsivo di affermazione. Ora sappiamo che di Lui tutto è dubbio. Nessuno capisce a cosa corrispondano i suoi atti, i suoi sentimenti, le sue idee. Sa di avere un proposito. Ma stenta di affermarlo. Tuttavia da tempo si adopera perché avvenga quell’ostinato “cambiamento”. Non in lui, intimamente, nella sua moralità. Ma verso le cose che ha intorno. Che non conosce e non capisce. Fosse anche una Città intera. Sulla quale accanire il proposito di falsarla, deformarla. Renderla disgustosa a sua misura. Tanto che a forza di riduzioni, quel Museo di bellezza che era Urbino, eterno luogo di poesia ed approdo naturale d’arte visibile, è sbiancato in un lapidario tormentato fino ad eccedere in abominevoli spazi di idiotismo.

Voglio dirlo con voce ferma, questo Sindaco è malessere. Solitudine. È non gioia. Infelicità. È cancellazione di storie e di storia. È voce per discorsi che altri scrivono. È isolamento, lontananza, abbandono. Indifendibile sotto ogni aspetto. Incompatibile con Urbino.

La Pasqua della mia memoria era un processo intimo. Un desiderio puritano primaverile che adduceva al mio animo più che misticismo, dolcezza. Urbino si conciava a festa, vanitosa ed ornata degli addobbi di rametti d’ulivo portati. Intorno era odore di confetto. Placidamente conteneva e contentava tutti. La Pasqua di qualche giorno fa, mi è parsa la trama pagana di un ingorgo. La zuffa tra auto e turisti. Uno scontro tra nemici. Disputato in un vociare sguaiato da sobborgo, che intanto è diventato il centro storico di Canavaccio, non più frazione. Un sobborgo dove le cose non tornano più. Dove nella massa pasquale e disomogenea di quei Turisti assimilata più ad un assedio, non ho colto alcuna emozione. Nessun accostamento amoroso ad un luogo d’arte. Qualcuno stazionava in fila all’ingresso del Museo. La più parte vagava anonima e distratta alla ricerca di un attaccapanni o di un paralume d’occasione offerti dalle solite bancarelle di cose illusorie, come risarcimento di un viaggio e di una permanenza breve di qualche ora.

Urbino ha smesso l’erotismo che aveva prima degli abbattimenti. È ormai una Città separata da sé. Di contatti, non di incontri. Ma chi la ama ancora, chi è ancora in possesso della realtà, non può rimanere indifferente. Perché amarla significa affrontare l’amaro gusto delle cose. Immergersi nel loro sapore aspro. Amarla significa essere leali, in modo da restituire alla amata immagini meno desolanti e deformate. Dunque bisogna riprendere possesso del tempo. Della lentezza dell’andare a piedi. Delle visioni misurate da un passo normale, creatore, artefice, orditore separato dalle insensatezze, dai riflessi di negligenze, dalle emozioni storpie, dai troppi significati incompatibili tra loro e colmi d’orrore, dalle notti irrequiete, dalla spensierata miseria culturale, dalle finzioni che i nostri occhi non riconoscono, dalle figure generiche di competenze generiche di avventurieri da paese, ovvero da quella irrealtà ingrata, goffa e puerile, che da troppo tempo accompagna Urbino.






Questo è un articolo pubblicato il 29-04-2022 alle 21:03 sul giornale del 29 aprile 2022 - 542 letture

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