La città e i vagabondi mentali

urbino vista aerea 5' di lettura 21/07/2022 - Ha detto che abitualmente andava a correre sulla Cesana. Ha detto che non gli è più possibile perché il Sindaco ha asfaltato dappertutto ed ora per il caldo le scarpe affondano in quella pece nera e l’ansimo del respiro viene strozzato dalle esalazioni sgradevoli di catrame. Ha confessato che le cose non vanno bene in Urbino. Che nessuno si muove. Nessuno reagisce. Nemmeno l’opposizione. E che spera di andarsene, stanco di assistere alla veglia funebre della Città. Poi ha preso per Cà Corona senza voltarsi.

Eravamo sul prato antistante S. Bernardino, dove Theo strisciava l’erba in cerca di refrigerio. Rimasto solo, sono entrato per un conforto di armonia fresca nella piccola Chiesa Mausoleo, monumento di bellezza. L’intenzione era quella di staccarmi e lasciare fuori dal portone le immagini della veglia funebre del podista che assiepavano la mia mente, resuscitando sentimenti sdegnati. Senza accorgermi nel frattempo, che il cattivo gusto sgraziato e doloroso coi suoi dettagli assurdi che anneriscono la pelle di Urbino si fosse fatto avanti, precedendomi all’interno del Mausoleo. Di fatto, un minuzioso ordine di sedie in policarbonato luminoso e trasparente gravava su tutta la navata disamorando ogni dedica d’amore per quel luogo. Non tenere e silenziose panche di legno. Ma sedute di plastica trasparente, di quelle in uso durante le promozioni commerciali di cremine per il buon umore o meglio di placche oblunghe per verdure fermentate e congelate. La prima sensazione fu di precarietà. Di insicurezza. Di strappato, separato da ogni ragione. Ovvero la rappresentazione illustrata e pittorica di carte di caramelle buttate a terra dopo una bevuta. “Più moderne e migliori sul piano estetico” hanno affermato i tecnici. Non disdegnando di sottolineare sottovoce il confessato amore di Federico per la plastica. Addizionate poi alla promessa di appendere dietro l’altare una gigantografia della Pala, impropriamente detta, di Brera. E per contorno, una cordiale manata di coppale al sacrestano. Un teatrino insomma che umilia il monumento. In una continuità lineare con la falsa tomba di Raffaello installata nella chiesa degli Scalzi, connessa ai falsi quadri dell’Assessore nonché storico d’arte (si fa per dire) Sgarbi, esposti a suo tempo al Castellare. Così da determinare una Urbino apparente. Una impostura di immaginazioni tendenti ad evocare continue linee convergenti ad imbuto verso la bruttezza che pervade Urbino da tempo.

Questo stillicidio continuo, questa staticità di vagabondi mentali, queste continue boccate di silenzio omertoso in cui nessuno si ribella, affannano Urbino in una dinamica di continue lacerazioni. Dove i finali sono sempre rappresentati da infelici e cocciute piccole mostruosità. All’apparenza dettagli. Che sommati diventano una mostruosità grande. Nessuno si oppone. Ogni critica resta accovacciata a terra. Benevola nel suo silenzio. Condiscendente a non tenere da conto il patrimonio. Piegata alle porcherie concesse in elemosina.

È una sconfitta per la Città. Che parte da lontano. Da quando è stata costretta ad essere abitata da automobili anzichè da cittadini. Negandosi come comunità creativa. Perché le automobili non hanno anima. Da quando è stata esclusa dalla partecipazione ai processi decisionali. Perché le automobili non hanno cuore. Impedendo così lo sviluppo sostenibile sulla rigenerazione ormai urgente del centro storico, del suo patrimonio culturale e la promozione della città. Oggi, i provvedimenti complessi che comportano cambiamenti strutturali, vengono arbitrariamente decisi da un solo soggetto senza qualità, nel caso dal Sindaco, piuttosto che essere moltiplicati in dibattiti.

Oggi la Cultura in Urbino viene modellata nelle sue forme dallo stesso personaggio, che è pari ad una disdetta. Il quale la intende a sua misura. Ovvero come imbecille obbligo dell’esserci. Come presenzialismo da traguardo. Come moda. Dove si tiene più all’incarto unto, piuttosto che al pane e companatico contenuti. Sì che ogni cosa venga depurata di ogni premura. Tanto da lasciare la Città in una immobilità sgraziata e frammentata.

Un particolare frammento, è la condizione del Museo Ducale, altero e sdegnoso. Sempre pressato dalla illustre quanto pregevole retorica tuttavia ormai stancante della memoria, ha finito per sbiancarsi in Museo per vecchi. Disertato dai giovani. Inutile pertanto procedere all’apertura di nuove stanze se poi vengono allestite con cose vecchie. Un Museo così concepito è antidemocratico. Soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, delle cose presenti e di quelle future, alle quali viene sottratta ogni forma di contemporaneità didattica ed attrattiva.

Un altro frammento è la casa di Raffaello. Gestita come un negozio di barbiere in attesa di clienti. I turisti arrivano sperando di trovare un calzino o una scarpa o magari un tozzo di pane sbocconcellato dal Divino. Omettendo l’aura di quel luogo. La pienezza immensa ed affascinate che va oltre gli stipiti. Oltre i secoli. Una pienezza luminosa che ha regolato l’andamento e la storia della pittura. Quella casa va sottratta all’inerzia. Va internazionalizzata. Va proiettata nel mondo esterno perché Raffaello è patrimonio universale e gli compete.

Non voglio dire dell’ultimo frammento, dell’Università. Sempre autoreferenziale e distaccata. Non è mai riuscita a scendere quei gradini di pietra che la separano dalla città vera. Mai speso un soldino per una compera in Città. Rifiutando così alla radice di diventarne il suo laboratorio sperimentale, ovvero l’officina concreta dove produrre bulloni e viti culturali ed intellettuali per la comunità.

Intanto i cittadini tutti, vestiti di una bianchezza incredula che non li frammenta, si sono legati in una disperazione per la perdita dell’Arcivescovo, invocando allo stesso tempo la restituzione della sede della Provincia. Due esigenze vitali. Io non so dire se le cose andassero meglio con la Guida spirituale e la Provincia. So per certo che gli Urbinati hanno sempre bisogno di un’attesa per risciacquarsi. Magari una vaghezza utile ad ingannare il presente e negare un futuro. Tuttavia che permetta loro di proiettarsi in un altrove altrettanto vago, capace di mondarli da ogni colpa e responsabilità.

Cara Urbino, se tu fossi femmina ed avessi un orecchio per ascoltarmi, te lo bacerei.






Questo è un articolo pubblicato il 21-07-2022 alle 07:37 sul giornale del 21 luglio 2022 - 472 letture

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