Gli ostili divieti della città ideale

4' di lettura 22/09/2022 - Un cartello di divieto è una proibizione, un impedimento imposto da chi ne ha potere. Questo pittoresco cartello, mi riferisco a quelli stradali ed in particolare a quelli cittadini, tende in tutto il mondo a condizionare la libertà del singolo, suggerendogli tuttavia comportamenti più corretti e funzionali per evitare pericoli anche di natura estetica. Sostanzialmente sono cartelli antipatici. Come ogni cosa che ci obblighi ad una disciplina.

Succede tuttavia che spesso questi impedimenti che dovrebbero valere per tutti senza distinzione, finiscono per assumere un significato discriminante ed illogico. Quasi razzistico.

Urbino è zeppa di cartelli di divieto. Tuttavia la stragrande maggioranza di cittadini fruisce della generosa concessione di permessi che consentono di trasgredire ad ogni norma di interdizione, facendo della Città una striscia esagerata di auto, una infinita corda colorata e cisposa, fiaccamente lenta, che esaspera il rifiuto del camminare, costringendo tuttavia chi ne faccia uso ad appoggiarsi al muro in una smorfia di fastidio. I permessi in Urbino sono elargizioni di natura amicale o di casta, di partito, di rendita di posizione, d’abitudine. Così da falsare in origine il concetto d’uso della cosa comune e la partecipazione a tutti del diritto di farne uso.

Questa è Urbino oggi. Città Ideale del disimpegno. Dell’abbandono. Della negligenza. Del disordine. Dell’incuria. Unica in Italia aperta al traffico. Unica senza un corpo di Polizia Locale. È stato bravo il Sindaco. Nessuno come lui è stato capace di materializzare l’indegnità, di farne tessuto sociale. Tanto da rendere possibile la sosta sulle strisce pedonali, sui marciapiedi, di traverso alla mezzeria, ovvero sotto un divieto permanente, senza alcuna sanzione. Spesso, a fronte di questa irrazionale e disgustosa evidenza, non dimenticando inoltre che ogni porta di accesso alla città dista meno di trecento metri dal centro di quella idealità esemplare nel suo disegno, raccolta dentro al Rinascimento più riuscito, spesso dicevo, finisco per convincermi che i cartelli di divieto non dovrebbero esistere in Urbino. Perché l’idealità spinge alla consapevolezza, al rispetto, a profonde motivazioni ed esigenze culturali. Per dirla da laico, alla spiritualità. Pertanto ognuno per proprio conto, dovrebbe interiorizzare prima di ogni imposizione, che dentro un’opera d’arte esposta all’aperto non si va in auto, non si sosta davanti, non la si spurga di gasolio.

Una città Museo di distanze brevi, di forte contenuto culturale ed artistico dai tratti delicati, abitata da una altrettanto breve collettività, non può essere trattata come una borgata sulla costa. Non può essere abbandonata ad un degrado che le guasti la bella bocca dal disegno sottile ad arco, bella da guardare, con una maschera rancorosa di peli. Sono più di otto anni che il Sindaco accudisce senza ritegno a quella maschera ostile ed esasperante. Per stancare il fiato della città. Per sfinirla a sportellate che si aprono e chiudono in una tiritera continua di andate e ritorni senza senso. Di manovre, per tornare indietro. Dimentichi di qualcosa. Quindi di accelerazioni brusche verso casa della sorella, della nonna, con sbalzi e frenate in immutabili ripetizioni quotidiane senza pause, senza miglioramenti, che consumano le vie a dispetto di ogni cartello di divieto.

La città ne è piena. Inestetici cartelli. Utili solo ad arrossarne coi loro contorni sanguigni i tratti più sensibili. Tutti li ignorano. Gli stalli di ricarica a fianco delle colonnine elettriche sono parcheggi gratuiti. I marciapiedi altrettanti parcheggi. Non esiste un piano urbano, una gestione e pianificazione della mobilità. L’AMI, azienda che dovrebbe integrare i flussi di quella mobilità e la consapevolezza dell’inquinamento generato, si rivela una baracca che costa stipendi senza svolgere la benché minima funzione. Purtroppo da anni Urbino è stata ceduta ad ingegni trascurabili. Piccoli manovali ignoranti. Buoni per qualche muretto. Separati da ogni ragionevolezza. Hanno consumano estati di sagre e tamburi per sfumare Urbino verso un futuro, già presente, scomodo e complicato. Hanno ammucchiato robe, disfatto cenci senza mai realizzare che la città va chiusa al traffico.

Basterebbe un cartello solo! Inequivocabile. Imperioso e determinato. Piantato su ogni soglia. Così da rendere la città finalmente reperibile a tutti. Allora traversarla non sarebbe più come essere in casa d’altri. Non sbatteremmo più contro i cofani delle auto in sosta vietata. Cesserebbe ogni dolenza. E finalmente potremmo chiacchierare di un nuovo modo d’essere, che in qualche modo potrebbe nuovamente includerci.


   

di Bruno Malerba





Questo è un articolo pubblicato il 22-09-2022 alle 07:48 sul giornale del 22 settembre 2022 - 542 letture

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