Rovinare Urbino

Basta una goccia. Una minaccia di pioggia che non pioverà mai. Una sedia che striscia sul pavimento. Un sorriso che non arriva e si dissolve prima di cominciare. La lentezza del tempo, la sua malattia, i suoi intervalli.
Basta poco per rovinare una città come Urbino. Piccola e precisa. Basta una distrazione, di sfuggita. Perché Urbino è diversa. Perché Urbino è desiderio. È non inciampo. Non è plurale, per tutti. Piuttosto per chi ama le soavità inquiete, i paesaggi lunghi, le sere d’estate. Eppure è proprio quando ci si è appena abituati al pensiero che basti poco, che Urbino è stata rovinata.
È bastato quell’attimo perché la città diventasse una indignazione, un ripiano per studenti e turisti senza abitanti. Un indispensabile garage a cielo aperto il più grande al mondo, senza ricovero e custodia di natanti in assenza di acque di mare. È bastata la fragranza di un Sindaco macchinedappertutto, la sua riprovevole quanto indegna delega alla Cultura, i problemi nei suoi pensieri, le sue disfunzioni, nessuna comprensione, nessuna consapevolezza, tanto i Torricini non ce li porta via nessuno, a segnare l’inizio del rovescio.
Ed ora che Urbino è rovinata, che la vita urgente la schiaccia su una modernità spavalda dove le porte della Città sono diventate varchi, dove la Piazza è diventata il centro logistico della distribuzione delle merci, ora dovremo chiederci a cosa serve una città . A cosa serve un Sindaco, un Assessore alla Cultura, un Rettore, un Direttore del Palazzo Ducale, un Presidente dell’Accademia Raffaello. A cosa serve un amore se non ci completa mai. Se ci lascia sempre sospesi tra il desiderio ed il lutto di una perdita.
La Città , l’Università , il Sindaco, il Rettore, l’Assessore alla Cultura, un Direttore, un Presidente dovrebbero provvedere a dare qualità alla vita di una collettività . L’amore dovrebbe procurarci felicità . Essere salvifico. Guarirci sempre. Ogni volta. Ma come potranno costoro se hanno amore solo per se stessi in dosi sproporzionate e grottesche. Tutte trattenute tra le pieghe delle loro camicie e mutande in un ristagno sudaticcio che nega ogni prodigalità verso l’esterno, lasciando a noi l’impazienza del poco e niente.
Deve bastarvi la Festa del Duca come evento culturale dell’anno, ci hanno detto. Deve bastarvi sapere che la gru fuori porta S. Lucia non è pericolosa. Che il torrione di S. Chiara non cadrà . Che il centro Fiere e l’Archivio di stato a Canavaccio sono necessari ad Urbino, che il paesaggio senza bitume era monotono, che la Polizia Locale era un eccesso, che i segnali stradali sono indifferenti, che i neolaureati possono usare la piazza come teatro delle loro oscenità , che l’inutile Casa di Raffaello si può affittare a qualche studente riccio di capelli e che le mostre a Palazzo Ducale debbano essere allestite con particolare attenzione al seicento che scandisce la fine certa della pittura.
È bastato tutto questo, questo strascicare di scarpe sul pavimento, questo vagamente eccitante raccattare panni sporchi, il non salire sugli autobus pubblici, il non camminare a piedi addizionato al discorrersi addosso con una certa disperazione in assenza di visioni a rovinare Urbino. È bastato il non parlarsi delle Istituzioni. Il non convergere su un obbiettivo comune. Quell'andare presuntuoso di ognuno nell’appezzamento del proprio orto. Lasciando la Città dentro un conflitto acerbo, dolente e plebeo, tra bellezza e rassegnazione lamentosa di qualcosa che avrebbe dovuto essere evitato. Sarebbe bastato poco.

Questo è un articolo pubblicato il 13-10-2022 alle 07:27 sul giornale del 13 ottobre 2022 - 1184 letture
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